30° ANNIVERSARIO della morte 

del Prof. Dott. Ing. MARCO TODESCHINI

In occasione del 30° anniversario della morte del “nostro” Prof. Dott. Ing. Marco Todeschini, ci piace riproporre un articolo tratto dal settimanale OGGI del 16 febbraio 1950, all’indomani della pubblicazione della sua opera  fondamentale La Teoria delle Apparenze, nel quale vengono illustrate in modo davvero encomiabile sia la figura che le teorie dello scienziato bergamasco.

Questo articolo descrive in modo semplice, alla portata di tutti, ma allo stesso tempo in maniera esaustiva, quelle che furono la genesi e la sostanza della teoria todeschiniana “delle apparenze”, destando nei lettori quel sentimento di emozione e meraviglia che solo le grandi opere ed i grandi personaggi sanno suscitare.

Nell’occasione vogliamo anche ricordare Antonella, figlia dello scienziato, scomparsa da poco, che sarebbe stata certamente felice di poter partecipare a questa importante ricorrenza.

OGGI – Milano – 16 febbraio 1950

 

HA SCOPERTO L’UNIVERSO NEL GORGO DI UN FIUME

 

Un ingegnere di Bergamo, Marco Todeschini, contesta ad Einstein la priorità della sintesi universale Allorché, il mese scorso, i giornali annunziarono, a grandi titoli, la nuova teoria di Einstein e trascrissero le quattro operazioni con le quali il fisico di Princeton unificava i fenomeni dell’universo astronomico con quelli che governano il mondo dell’atomo, e insieme proclamarono, con meraviglia e stupore, che una grande sintesi era stata compiuta nel campo del sapere umano, ci fu un uomo a Bergamo che non si meravigliò affatto della cosa, e, dato uno sguardo alle quattro formule di Einstein, fece sapere alla stampa che si trattava di roba vecchia e superata, egli l’aveva già compiuta da alcuni anni; non solo: ma che, mentre le equazioni einsteniane aspettavano ancora una conferma sperimentale, egli ne aveva di migliori già sperimentate, controllate e pubblicate in un ponderoso volume, La teoria delle apparenze, edito da qualche mese.

 

UNA PASSEGGIATA SUL PO

Il nome di questo ingegnere di Bergamo, Marco Todeschini, dopo una simile dichiarazione è apparso su tutti i giornali, e, affidato alle telescriventi delle agenzie di stampa, è arrivato anche nelle redazioni americane, inglesi e francesi. Marco Todeschini aveva, però, già fatto parlare di sé, in Italia, sia quando uscì, alcuni mesi orsono, il suo grosso libro di “spazio dinamica e psico-biofisica”, sia al congresso di fisica tenutosi questa estate a Como, dove egli si incontrò e discusse alcuni lati della sua teoria con i fisici là convenuti, e sia, recentemente, a Roma, in occasione di un convegno scientifico, dove egli, dinanzi a cinquecento cultori delle scienze esatte, espose col gesso, su cinque lavagne, le formule e le regole della sua teoria.

Todeschini ha scoperto questo: -che lo spazio non è fermo, ma è mobile ( non è vuoto, ma è pieno: è “ponderale”); -che i pianeti non si muovono in esso, ma sono trascinati da esso; -che l’universo è, insomma, un immenso fluido, sul quale galleggiano gli astri trasportati come in un gorgo.

L’unica realtà oggettiva del mondo, l’unico principio fenomenico è, per Todeschini, appunto questo movimento dello spazio; tutti gli altri fenomeni fisici – materia, peso, massa, gravità, inerzia, calore, elettricità, suono, luce, colori, odori, sapori – non sono che apparenze di quel moto di spazio. Noi siamo, quindi, immersi in un gorgo buio, freddo e incolore, regolato dalle leggi della spaziodinamica, giacché l’universo è uno spazio fluido i cui moti formano la materia e originano tutti gli altri fenomeni fisici.

Tutto questo immenso gorgo universale lo scienziato lo scoprì a quindici anni, sul Po, durante una passeggiata. Todeschini è nato a Bergamo, (ndr: a Valsecca di Bergamo) nel 1899; il padre aveva un’industria di ferramenta e la madre gli morì quando aveva appena un mese, lasciandolo, con i cinque fratelli, alle cure di una zia. A sei anni aveva seguito il padre a Reggio Emilia, dove, compiute le elementari, fu inviato al Collegio Dante Alighieri in Casalmaggiore. E fu appunto qui che un giorno a quindici anni, durante una passeggiata con i suoi compagni sulle rive del Po, sceso dentro una barca di un ponte che una compagnia del Genio stava costruendo, vide nelle acque del fiume l’imbuto liquido di un veloce gorgo, intorno al quale roteava, attratti, detriti, fili d’erba e foglie. Rientrato in collegio, il professore assegnò questo tema: “Dite ciò che avete visto durante la passeggiata”, e stabilì un premio per il miglior componimento. Il ragazzo fece una scommessa con se stesso e decise che se il suo tema fosse stato premiato, quello sarebbe stato un segno del destino perché continuasse a studiare quell’analogia che aveva intravisto tra il gorgo e l’universo.

Todeschini vinse il premio; e, da allora, si dedicò ai fiumi; e tentò subito di effettuare esperimenti sui gorghi fluviali per constatare se le leggi del moto idrico vorticoso corrispondessero a quelle del moto dei pianeti, ma l’instabilità dei vortici ed il risucchio dei galleggianti al centro dei gorghi non gli permisero di effettuare misure precise.

A 17 anni si arruolò nel genio militare ed alla fine della guerra fu congedato col grado di tenente. Andò, allora a Torino a frequentare il Politecnico; e approfondì, qui, le ricerche storiche intorno all’argomento che lo appassionava, mentre effettuava, con speciali attrezzature tecniche, vortici sperimentali, riuscendo a stabilire che i galleggianti immersi in tali gorghi seguivano le leggi di Keplero che reggono i moti astronomici. Non era poco, perché il giovane demoliva, così sperimentalmente, la capitale obiezione che Newton aveva sollevato contro la concezione fluido-dinamica dello spazio. Laureatosi in ingegneria, entrò, poi, nel Servizio Studi ed Esperienze del genio militare, ivi insegnando meccanica ed elettrotecnica e intanto, giorno per giorno, scopriva e sperimentava nuove formule e leggi a sostegno della sua teoria.

Questo grosso libro, in cui ha raccolto le sue argomentazioni scientifiche, contiene ben ottocentoventicinque scoperte, frutto di trent’anni di lavoro; proseguendo nelle ricerche, il Todeschini, desiderando dilatare la sua concezione dal campo dell’astronomia e della fisica a quello della fisiologia e della biologia, studiò queste scienze e si laureò anche in medicina.

Todeschini è un uomo semplice; ha un viso aperto e ancora senza rughe, gli occhi chiari e una fronte levigata come un oggetto lucido per l’uso. Parla di sé con modestia, ma non ammette dubbi sulla sua teoria che gli è costata tanta fatica e per la quale ha speso tutto quello che possedeva. Ora sulla sua scrivania la posta accumula ogni mattina, decine di lettere (fino a ottanta al giorno): lettere di studiosi e di curiosi, lettere da università e istituti di studi esteri (finanche dalla Russia), e alle quali egli cerca di rispondere come può, anche perché le spese postali cominciano a diventargli troppo pesanti. Numerosi medici italiani, convinti dalla interpretazione elettromeccanica che egli ha dato alla fisiologia, specie del sistema nervoso e degli organi di senso, ne hanno dedotto e stanno provando nuovi metodi terapeutici, e pare con successo.

 

 LA TEORIA DELLE APPARENZE

La teoria delle apparenze, che sta per essere tradotta in varie lingue straniere, è un volume stringato in una rigorosa logica; e le pagine – per quanto ardue per chi sia sprovveduto di vaste nozioni fisiche, matematiche e mediche – sono piene di un indiscutibile fascino. In fronte ai vari capitoli l’autore – che è anche, per così dire, un allegro verseggiatore – ha posto, a guisa di sommario, degli endecasillabi esplicativi. Così il capitolo terzo, dedicato alla materia, è preceduto da questa terzina:

“Gorghi di spazio forman la materia

Dagli atomi alle stelle più fulgenti

Al corpo delle piante e dei viventi”.

E con questi settenari spiega lo spazio:

“Lo spazio è in estensione

Un mare in turbamento

Che forma l’illusione

Degli astri in firmamento

Materia e sensazioni

Con gorghi e vibrazioni”.

I vari capitoli hanno poi titoli che lasciano talvolta senza fiato: “Il mistero del peso dei corpi svelato: il peso quale spinta centripeta che lo spazio fluido rotante attorno alle masse celesti esercita sui corpi in esso immersi”. Nella parte dedicata alle equivalenze psico-fisiche si incontrano le maggiori sorprese. “Ora”, scrive l’autore, “si è in grado di dare una risposta al quesito di Sant’Agostino, enunciando che: il presente è costituito dal tempo di persistenza delle sensazioni nella psiche, tempo che corrisponde a quello necessario per vincere l’inerzia degli oscillatori degli organi di senso del corpo degli esseri animati”. La sua 558^ scoperta suona così: “Gli organi di senso non ricevono dal mondo esterno sensazioni, né trasformano le vibrazioni ricevute in sensazioni, come ritenuto erroneamente fino ad oggi, bensì si limitano a ricevere delle vibrazioni materiali ed a trasmetterle al cervello”. E a questo segue che: “gli organi di senso sono costituiti da un complesso di oscillatori riceventi trasmittenti che entrano ciascuno in funzione per una determinata scala di frequenze dello spettro”. E ancora: “I colori sono sensazioni luminose che non esistono nel mondo fisico, ma esistono solamente in esso le accelerazioni corrispondenti a determinate vibrazioni materiali. I colori sono quindi apparenze suscitate nella psiche da quelle

accelerazioni trasmesse al cervello”. Ne deriva che, per Todeschini, la luce bianca non è composta di sette colori, perché nel mondo fisico luce e colori non esistono. La vibrazione corrispondente alla luce bianca non è formata da sette vibrazioni di frequenza diversa, ma è costituita da una vibrazione di spazio con una sua propria e determinata frequenza. “L’anima”, scrive, in quartina, l’autore, “guida il corpo dal cervello – come un guerriero dentro un carro armato. – Precinta d’apparecchi da ogni lato – si muove e sente usando questo e quello”. La suggestione della sua fisiologia fluido-dinamica aumenta; l’occhio, per lui, è costituito e funziona come una stazione televisiva e trasmittente a filo, per cui esso non riceve dall’esterno luce o colori, ma riceve vibrazioni buie ad alta frequenza che trasforma in oscillazioni elettriche, le quali, inviate al cervello, suscitano nella psiche le immagini luminose. Anche l’organo del gusto è costituito e funziona come un complesso di circuiti elettrici; le sostanze non hanno sapore, né lo danno, ma bensì fanno variare la resistenza elettrica del circuito, cosicché le diverse intensità di corrente suscitano nella psiche la sensazione di sapore. Tutto il corpo umano è perciò intessuto da una rete nervosa, la quale funziona come una rete di collegamenti elettrici; il midollo allungato è costituito da un complesso di amplificatori interposti sulle linee nervose che lo attraversano; il cervelletto funziona come un complesso di autogoniometrizzatori e di autotelepuntatori che consentono di individuare la direzione di provenienza di una perturbazione esterna, sia di orientare o meno verso tale direzione talune o tutte le parti del corpo. E così il telencefalo, stazione superiore, è un complesso di apparecchi che riceve azioni di natura fisica servendosi di otto triplici dispositivi telemetrici per gli organi di moto. Ma Todeschini va oltre, arriva all’anima che è la sola capace di trasformare le correnti elettroniche in sensazioni ed è l’unica in condizione di emettere delle forze le quali producono o azionano correnti atte a telecomandare gli organi di moto periferici. La quale anima, sebbene abbia sede nel telencefalo, non occupa spazio e non è costituita da materia, perché se ciò fosse, in base al principio uni fenomenico di Todeschini, essa potrebbe solamente oscillare od accelerare nelle sue parti e nel suo complesso, mentre invece essa percepisce quelle accelerazioni sotto forma di sensazioni le quali, non potendo sorgere che nel mondo spirituale – giacché durano nel tempo, ma non occupano esse pure spazio – danno prova che l’anima esiste ed è di natura spirituale. E l’autore conclude dando ben tredici prove fisico-matematiche e psico-fisiche dirette ed indirette sulla esistenza dell’anima.